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Benetton, dal colore del mondo al rosso dei bilanci: l’ascesa e la caduta di un mito italiano

C’era un tempo in cui bastava pronunciare un nome – Benetton – per evocare l’Italia dinamica, creativa, audace. Era la moda che parlava a tutti, dal centro di Milano alle periferie di Buenos Aires, dalle vie di Madrid ai mall americani. Era un’azienda familiare nata nel cuore del Veneto che aveva conquistato il pianeta con un’idea semplice e rivoluzionaria: vestire il mondo di colore.

Oggi, però, la parabola di Benetton si è trasformata in una dolorosa lezione di economia globale. A gennaio 2025 il gruppo ha dichiarato bancarotta, annunciando la chiusura di circa 500 negozi e il licenziamento di oltre mille dipendenti. Una caduta fragorosa, soprattutto per chi ricorda gli anni in cui la maglia verde smeraldo o il pullover giallo sole portavano, cucita sull’etichetta, un po’ d’Italia nel mondo.


Le radici: un maglione che diventa rivoluzione

La storia comincia nel 1965 a Ponzano Veneto, quando i fratelli Luciano, Gilberto, Giuliana e Carlo Benetton decidono di trasformare una piccola produzione di maglieria in un marchio. È l’Italia del boom economico: fabbriche che crescono, città che si allargano, famiglie che scoprono il benessere.

L’intuizione è geniale: offrire capi basici ma in una tavolozza di colori mai vista prima. Non più solo grigi e neri, ma rosso fuoco, blu elettrico, verde prato. È una moda democratica e accessibile, senza l’esclusività delle grandi maison ma con la forza di un’identità chiara.

Negli anni ’80 e ’90, Benetton diventa sinonimo di globalizzazione positiva. Le campagne di Oliviero Toscani – immagini provocatorie che parlano di razzismo, guerra, AIDS – trasformano la pubblicità in strumento di dibattito sociale. Per molti giovani italiani all’estero, indossare Benetton significava indossare un pezzo di patria proiettata nel futuro.


Il declino: un mondo che corre più veloce

Ma le mode cambiano, e con esse i consumi. A partire dagli anni 2000, Benetton fatica a reggere il ritmo imposto dai giganti del fast fashion. Zara, H&M e poi Uniqlo portano sul mercato un modello nuovo: collezioni rinnovate ogni poche settimane, prezzi bassi, logistica ultrarapida.

Benetton, invece, resta legata a un’organizzazione tradizionale, con un’offerta poco aggiornata e negozi spesso in posizioni prestigiose ma costose. Il digitale, che avrebbe potuto essere una salvezza, arriva tardi e male. L’e-commerce del gruppo non decolla mai davvero, mentre i concorrenti consolidano la loro presenza online.

I conti parlano chiaro: 230 milioni di euro di perdite solo nel 2023, oltre 700 milioni bruciati negli ultimi cinque anni. Una spirale che nemmeno il prestigio del nome riesce a fermare.


benetton che succedera

La bancarotta: fine o nuovo inizio per Benetton?

L’annuncio di gennaio 2025 scuote non solo l’Italia, ma anche le comunità italiane all’estero. In Spagna chiudono 31 negozi, in America Latina le insegne si spengono una dopo l’altra, in Italia la notizia fa il giro dei telegiornali come la fine di un’epoca.

C’è chi parla di “fallimento annunciato”, chi accusa la famiglia Benetton di non aver saputo cedere il passo a manager più moderni, chi invece rimpiange la mancanza di coraggio politico e industriale nel salvare un brand che era patrimonio nazionale.

Eppure, tra i corridoi del Veneto e nelle memorie di chi all’estero ha visto aprire il primo store Benetton nel proprio quartiere, resta una domanda: può un marchio così forte morire davvero? O la bancarotta sarà l’occasione per una rinascita sotto nuove forme, magari con investitori internazionali pronti a rilanciare il mito?



L’eredità culturale

Benetton non è stata solo un’impresa di moda. È stata un simbolo culturale e identitario. Ha dato voce all’Italia creativa, coraggiosa, capace di parlare al mondo senza complessi. Per i figli e i nipoti degli emigrati italiani in Argentina, in Canada, in Australia, Benetton rappresentava spesso il primo segno tangibile di un’Italia moderna e inclusiva.

Oggi quella eredità resta, anche se i negozi chiudono. Restano le immagini di Toscani, i pull colorati negli armadi dei nostri genitori, le campagne pubblicitarie studiate nelle università. Restano i ricordi di una marca che seppe trasformare un filo di lana in un filo invisibile capace di unire continenti e generazioni.


Un'avvertenza per l’Italia che verrà

La caduta di Benetton è un monito per il sistema moda e per l’Italia intera. Ci ricorda che il successo di ieri non garantisce il domani, che innovare è l’unico modo per sopravvivere, che la tradizione va difesa ma anche trasformata.

Se Benetton saprà risorgere, non lo sappiamo. Ma la sua storia resta, e continuerà a parlare agli italiani e ai loro discendenti sparsi nel mondo: un racconto di coraggio, genialità e, oggi, anche di fragilità.

Perché in fondo, come diceva un vecchio slogan, United Colors of Benetton non era solo moda. Era – ed è – un pezzo dell’anima italiana nel mondo.

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